L'ASSEMBLEA COSTITUENTE
Patto di
Salerno
1944 |
Nell'aprile del 1945 gli alleati angloamericani e le
organizzazioni partigiane portarono a compimento la
liberazione di tutto il territorio nazionale dai tedeschi
occupanti e dagli ultimi fascisti loro alleati. Già con il
Patto di Salerno dell'aprile del 1944, stipulato tra il
Comitato di Liberazione Nazionale e la Monarchia, si decise,
tra l'altro, di sospendere la scelta tra la Monarchia e la
Repubblica fino alla fine della guerra. I partiti
antifascisti che condussero la Resistenza non avevano
perdonato a Vittorio Emanuele III di avere dato l'incarico
di formare il nuovo governo nel 1922, in seguito alla marcia
su Roma, al capo del Partito Fascista Benito Mussolini e
neppure gli perdonarono di non avere fatto alcunché per
impedire che questi trascinasse l'Italia nella dittatura,
nella sciagurata alleanza con Hitler e nella rovinosa
avventura della guerra. Con il Patto di Salerno si decise
anche che, a guerra terminata, gli italiani avrebbero dovuto
eleggere un'Assemblea Costituente con il compito di redigere
una nuova Costituzione. Lo Statuto Albertino non
rappresentava più, semmai lo aveva fatto, la reale volontà
degli italiani. La Costituzione del Regno d'Italia dal 1848
era ancora formalmente in vigore poiché le leggi fasciste
che lo avevano travolto erano state in certa misura già
abrogate a partire dal 25 luglio 1943, dopo la destituzione
di Mussolini. Erano trascorsi più di vent'anni di dittatura
e si era consumata una sconfitta militare nella più
sanguinosa guerra che la storia dell'umanità avesse mai
conosciuto e di cui lo stesso fascismo italiano fu
corresponsabile. Si trattava ora di porre le basi del nuovo
Stato, di un'Italia diversa in cui gli stessi valori che
avevano ispirato la Resistenza e la lotta contro il
nazifascismo, i valori della democrazia, della libertà,
della giustizia e della solidarietà, fossero posti alla base
della nuova società a cui la maggioranza degli italiani
aspirava. |
Caduta
del
Fascismo |
Ora la guerra era terminata e la parola dalle armi
doveva passare alle urne, ma, sia per difficoltà tecniche
relative all'apprestamento delle nuove liste degli elettori,
sia a causa di pressioni politiche delle forze più moderate
che temevano nell'immediato dopoguerra una reazione popolare
troppo favorevole alle forze più innovative, dovettero
trascorrere ancora tredici mesi perché si giungesse alle
prime elezioni libere attraverso le quali gli italiani
avrebbero dovuto porre le fondamenta delle nuove istituzioni
del Paese. |
2 Giugno
1946:
primo
referendum
popolare |
Dal 1928 il popolo italiano non era più stato chiamato
alle urne e, finalmente, il 2 giugno 1946 si celebrarono le
elezioni. Ad ogni italiano, uomo o donna di almeno 21 anni
di età, vennero consegnate due schede: una per la scelta fra
Monarchia e Repubblica, il cosiddetto referendum
istituzionale, l'altra per l'elezione dei 556 deputati
dell'Assemblea Costituente sulla base di un sistema
elettorale proporzionale a liste concorrenti e collegi
elettorali plurinominali. Esse rappresentarono, nella storia
del Paese, le prime elezioni che si svolsero a suffragio
universale, maschile e femminile; per la prima volta il
diritto di voto venne esteso anche alle donne. Erano ormai
lontani i tempi dell'Unità d'Italia in cui le percentuali
degli aventi diritto al voto per la Camera dei Deputati si
aggiravano attorno al 2% della popolazione; nel 1946 gli
aventi diritto al voto rappresentavano il 61,4% degli
italiani; bisognava però ancora attendere l'estensione del
diritto di voto anche ai diciottenni nel 1975 perché la
soglia degli aventi diritto superasse il 70% dell'intera
popolazione. Il 9 maggio 1946 l'abdicazione del Re Vittorio
Emanuele III a favore del figlio Umberto II fu l'estremo
tentativo di presentare al popolo la dinastia dei Savoia con
un nuovo volto meno compromesso con il regime fascista;
tuttavia gli esiti del referendum istituzionale furono
favorevoli alla Repubblica. Circa 12 milioni e
settecentomila italiani, contro 10 milioni e settecentomila,
decisero che l'Italia doveva trasformarsi da Regno in
Repubblica, con un Capo dello Stato elettivo. |
13 Giugno
1946:
fine della
monarchia |
Umberto II, l'ultimo Sovrano d'Italia, passò alla storia
con l'appellativo di "Re di maggio". Dopo qualche
temporeggiamento e la comunicazione dei dati definitivi, il
13 giugno 1946 egli decise di lasciare il Paese con la sua
famiglia e andarsene in esilio, riconoscendo la sconfitta e
la fine della Monarchia. Il 18 giugno 1946 la Corte di
Cassazione, preso atto dei voti espressi, sul cui computo
non mancarono polemiche, proclamò ufficialmente la vittoria
della Repubblica. |
Esiti
dell'elezione
e Assemblea
Costituente |
Gli esiti dell'elezione dei 556 componenti
dell'Assemblea Costituente che, in rappresentanza del
popolo, avrebbero elaborato la nuova Costituzione, furono
per lo più favorevoli a quei partiti politici che avevano
combattuto la dittatura e, in particolare nel corso della
Resistenza, si erano riorganizzati assumendo un ruolo guida
nella lotta armata contro il nazifascismo e nella
transizione dallo Stato fascista al nuovo Stato. Si trattava
principalmente dei tre grandi partiti di massa che avrebbero
caratterizzato anche la vita politica italiana nei decenni
successivi all'entrata in vigore della Costituzione: la
Democrazia Cristiana, che ebbe il 35,2% dei voti; il Partito
Socialista di Unità Proletaria, con il 20,8%; il Partito
Comunista italiano, con il 19%. Ad essi si aggiunsero alcune
formazioni minori tra le quali spiccavano: l'Unione
Democratica Nazionale (i liberali), con il 6,8%; il Partito
Repubblicano italiano, con il 4,4%; il Partito d'Azione, con
1'1,7%. Infine, una modesta parte dell'elettorato italiano
si espresse con un voto decisamente conservatore e rivolto
al passato: il Fronte dell'Uomo Qualunque, che rappresentava
un'ideologia di destra e retriva, ottenne il 5,3% dei voti;
il Blocco Nazionale della libertà, che interpretava ancora i
desideri dei nostalgici della Monarchia, conseguì il 2,8%
dei suffragi. I più alti e valorosi nomi della Resistenza
italiana, accanto al fior fiore dei giuristi democratici
dell'epoca e di una nuova classe politica che si stava
formando, comparivano tra i Costituenti scelti dagli
italiani. Fra gli altri, i più noti furono, per la
Democrazia Cristiana: Giulio Andreotti, Alcide De Gasperi,
Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Giovanni Leone, Aldo
Moro, Oscar Luigi Scalfaro, Antonio Segni; per il Partito
Socialista: Pietro Nenni, Sandro Pertini, Luigi Preti,
Giuseppe Saragat, Ignazio Silone; per il Partito Comunista:
Giorgio Amendola, Arrigo Boldrini, Giuseppe Di Vittorio,
Nilde Iotti, Luigi Longo, Palmiro Togliatti; per il Partito
Repubblicano: Ugo la Malfa e Ferruccio Parri; per i
liberali: Benedetto Croce e Luigi Einaudi; per il Partito
d'Azione: Riccardo Lombardi, Leo Valiani; per il Partito
Sardo d'Azione: Emilio Lussu. |
Il 25 Giugno
1946:
inizia
l'attività
dell'Assemblea
Costituente |
L'Assemblea costituente si riunì per la prima volta nel
Palazzo di Montecitorio il 25 giugno 1946. In quella seduta
fu eletto Presidente dell'Assemblea l'on. Giuseppe Saragat,
in seguito dimissionario e sostituito, l'8 febbraio 1947,
dall'on. Umberto Terracini. La durata dell'Assemblea fu
prorogata due volte: fino al 24 giugno 1947 con L. cost. 21
febbraio 1947, n. 1 e, da ultimo, fino al 31 dicembre 1947
con L. cost. 17 giugno 1947, n. 2, entrambe approvate
dall'Assemblea stessa; essa rimase tuttavia in attività fino
al 31 gennaio 1948, in applicazione della XVII disposizione
della Costituzione, per approvare la legge elettorale per il
Senato, gli statuti delle regioni ad autonomia speciale e la
legge per la stampa. Il 28 giugno 1947 l'Assemblea
procedette all'elezione del "Capo provvisorio dello Stato"
Enrico De Nicola, il quale avrebbe esercitato le sue
funzioni fino a quando non fosse stato nominato il Capo
dello Stato a norma della Costituzione deliberata
dall'Assemblea. Il Governo non presentò all'Assemblea
costituente un progetto di Costituzione. Ai fini di un più
efficiente svolgimento del proprio lavoro, l'Assemblea,
approvando alcuni articoli aggiuntivi al regolamento della
Camera che aveva deciso di adottare, deliberò la nomina di
una Commissione per la Costituzione, composta di 75 membri
scelti dal Presidente sulla base delle designazioni dei vari
gruppi parlamentari in modo da garantire la partecipazione
al processo costituente della totalità delle forze
politiche, con l'incarico di predisporre, senza una
preventiva indicazione di criteri e principi direttivi, un
progetto articolato di Costituzione da sottoporre al plenum
dell'Assemblea. La Commissione, nominata il 19 luglio 1946 e
presieduta dall'on. Meuccio Ruini, procedette nei suoi
lavori articolandosi in tre Sottocommissioni: la prima sui
diritti e doveri dei cittadini; la seconda sull'ordinamento
costituzionale della Repubblica, che si divise a sua volte
in due Sezioni (rispettivamente per il potere esecutivo e
per il potere giudiziario) e che affidò inoltre la redazione
di un progetto articolato sull'ordinamento regionale ad un
comitato di 10 deputati facenti parte della stessa
sottocommissione; la terza sui diritti e doveri
economico-sociali. Per unificare i due progetti elaborati
rispettivamente dalla prima e dalla terza sottocommissione,
che si occuparono entrambe della parte economico-sociale, fu
nominato un Comitato di coordinamento.Una volta terminato il
lavoro delle Sottocommissioni e delle Sezioni, la
Commissione dei 75 affidò l'incarico di coordinare le
formulazioni approvate da quest'ultime e di redigere un
progetto organico e unitario ad un Comitato di redazione,
composto di 18 suoi membri, presieduto dall'on. Ruini. Il
Comitato approntò il progetto di Costituzione,
suddividendolo in modo organico in parti, in titoli e in
sezioni e coordinando gli articoli approvati in sede di
Sottocommissione e di Sezione, e lo sottopose alla
Commissione per la Costituzione, che approvò a sua volta il
testo con lievi modifiche e lo presentò il 31 gennaio 1947
all'Assemblea costituente. Il Comitato di redazione ebbe
anche l'incarico di rappresentare la Commissione dei 75
durante la discussione presso l'Assemblea plenaria, che si
svolse dal 4 marzo al 20 dicembre 1947; dopo la discussione
in aula e la votazione degli articoli, il Comitato
procedette all'ulteriore coordinamento delle norme approvate
e presentò il testo definitivo del progetto di Costituzione
all'Assemblea che lo votò il 22 dicembre 1947. La
Costituzione fu promulgata il 27 dicembre dal Capo
provvisorio dello Stato ed entrò in vigore il 1 gennaio
1948. Il D. Lgs. lgt. n. 98 disciplinò, come già ricordato,
anche lo svolgimento dell'attività legislativa ordinaria e i
rapporti tra Governo e Assemblea costituente stabilendo
(art. 3) che: "durante il periodo della costituente e fino
alla convocazione del Parlamento a norma della nuova
costituzione, il potere legislativo resta delegato, salva la
materia costituzionale, al Governo, ad eccezione delle leggi
elettorali e delle leggi di approvazione dei trattati
internazionali, le quali saranno deliberate dall'assemblea.
Il Governo potrà sottoporre all'esame dell'assemblea
qualunque altro argomento per il quale ritenga opportuna la
deliberazione di essa. Il Governo è responsabile verso
l'assemblea costituente. Il rigetto di una proposta
governativa da parte dell'assemblea non porta come
conseguenza le dimissioni del Governo. Queste sono
obbligatorie soltanto in seguito alla votazione di
un'apposita mozione di sfiducia, intervenuta non prima di
due giorni dalla sua presentazione e adottata a maggioranza
assoluta dei membri dell'assemblea". Sulla base di queste
disposizioni l'Assemblea funzionò anche come Parlamento,
stabilendo, con una modifica al proprio regolamento interno,
che, salvo i casi di massima urgenza, tutti i disegni di
legge deliberati dal Consiglio dei ministri dovevano esserle
trasmessi (a tale scopo furono nominate quattro commissioni
per l'esame dei disegni di legge inviati dal Governo, con
diverse competenze per materia); l'Assemblea avrebbe deciso
di volta in volta fra tali disegni di legge quali dovessero
essere deferiti alla propria deliberazione. L'Assemblea
discusse le comunicazioni del Governo e votò la fiducia al
II, III e IV ministero De Gasperi; approvò, tra l' altro, le
leggi elettorali della Camera e del Senato; nel luglio 1947
si tenne in aula il dibattito sulla ratifica del Trattato di
pace; essa esercitò anche un'attività di controllo
sull'operato del Governo attraverso lo svolgimento di
numerose interpellanze e interrogazioni. Il primo Presidente
della Repubblica italiana fu Luigi Einaudi, eletto dal
Parlamento secondo le regole contenute nella nuova
Costituzione il 12 maggio 1948, dopo le prime elezioni
politiche vere e proprie del 18 aprile dello stesso anno.
Fino ad allora assunse le funzioni di Capo provvisorio dello
Stato Enrico De Nicola che venne eletto dall'Assemblea
Costituente appena insediatasi. |
Caratteri
salienti
della
Costituzione
Repubblicana |
Per la prima volta gli italiani avevano una Costituzione
elaborata direttamente dai loro rappresentanti liberamente e
democraticamente eletti. La Costituzione repubblicana è
composta da 139 articoli dei quali i primi dodici riguardano
i Principi fondamentali. I successivi quarantadue articoli
costituiscono la prima parte dedicata ai Diritti e doveri
dei cittadini, a sua volta suddivisa in quattro titoli:
rapporti civili; rapporti etico-sociali; rapporti economici;
rapporti politici. I rimanenti ottantacinque articoli
rappresentano la seconda parte che disciplina l'Ordinamento
della Repubblica, nelle sue diverse articolazioni, a cui
corrispondono altri sei distinti titoli: il Parlamento; il
Presidente della Repubblica; il Governo; la Magistratura; le
Regioni, le Province, i Comuni; Garanzie costituzionali.
Infine, la Costituzione si chiude con le Disposizioni
transitorie e finali contenute in diciotto articoli. |
Confronti
con il
vecchio
Statuto
Albertino |
Lo Statuto Albertino del 1848, che dopo un secolo di
vita era giunto al suo definitivo tramonto, era una
Costituzione concessa dall'alto, dal Sovrano ai suoi sudditi
e, pur rappresentando la risposta del Re Carlo Alberto ai
moti insurrezionali che si stavano diffondendo in tutta
Europa, nacque senza alcuna consultazione democratica. Ben
altro contenuto innovativo avrebbe avuto se fosse stata il
frutto di un'Assemblea eletta dal popolo. Anche
successivamente a nulla valsero le richieste di un'Assemblea
Costituente provenienti dalle correnti democratiche del
nostro Risorgimento, e in particolare da quelle mazziniane.
Dopo l'unificazione d'Italia, lo Statuto Albertino, emanato
per il piccolo Regno di Sardegna, divenne la legge
fondamentale del Regno d'Italia, riconfermando il predominio
delle correnti liberali più moderate. La nuova Costituzione
repubblicana nacque invece dalla prima grande lotta di
popolo in Italia; furono i capi della Resistenza e dei
partiti antifascisti che avevano imbracciato le armi e
patito la persecuzione politica, il confino e il carcere
fascista, i nuovi leader della classe politica emergente,
scelti dallo stesso popolo, ad elaborare la nuova
Costituzione. Era la prima volta nella storia d'Italia che
le grandi masse popolari partecipavano direttamente e
consapevolmente al loro destino, in risposta alla dittatura
e alla guerra. La maggior parte di questi articoli fu
approvata con larghissime maggioranze, ma il loro contenuto
è il frutto dell'incontro di idee e valori dei partiti
presenti all'interno dell'Assemblea Costituente, spesso
diversi, tuttavia uniti dal comune sentire della lotta
antifascista e dalla ferma volontà di dare all'Italia una
Costituzione che traducesse in precise disposizioni le
speranze e le attese per un profondo mutamento dello Stato e
della società. La Costituzione italiana nasce dalla
confluenza di diversi principi ispiratori: all'idea
democratica di base, si uniscono i valori dell'antica
tradizione liberale italiana, quelli propri del socialismo
dei partiti della sinistra e infine quelli della dottrina
sociale della Chiesa a cui si ispirava la Democrazia
Cristiana. Il risultato che ne conseguì venne definito da
molti un compromesso costituzionale, il che non deve però
erroneamente richiamare una soluzione deleteria o di basso
profilo. Al contrario, esso rappresentò il desiderio di
edificare un impianto costituzionale in cui ogni Costituente
cercò di dare il meglio della sua concezione e in cui la
maggior parte degli italiani potesse identificarsi. La
Costituzione repubblicana non nacque quindi dalla
preponderanza di una parte politica sulle altre, ma da un
aperto e fecondo incontro ideale, da un'intesa che doveva
servire come guida alle variabili maggioranze parlamentari e
di Governo che, domani, diversamente interpretandola,
avrebbero dovuto poi tradurla in provvedimenti concreti.
D'altra parte è nella natura di tutte le Costituzioni
democratiche di questo secolo, che scaturiscono da Assemblee
Costituenti elette a suffragio universale e rappresentative
di diverse aspirazioni e interessi, il loro affermarsi come
patto sociale, punto di convergenza tra diverse forze
politiche che affidano a questa legge fondamentale il
compito di fissare quei principi in cui tutta una Nazione si
possa riconoscere, a garanzia della loro legittimità e del
loro rispetto effettivo. Ad essa i Costituenti decisero di
imprimere il carattere della rigidità, collocandola al
vertice di tutto l'ordinamento giuridico. Si tratta di una
caratteristica propria di quasi tutte le Costituzioni
democratiche del novecento legata, appunto, al valore di
patto fondamentale tra le diverse forze politiche che esse
assumono. Le regole del gioco e i principi su cui si sarebbe
edificato il nuovo ordinamento non potevano essere toccati
se non con un apposito procedimento di revisione
costituzionale, molto più lungo e gravoso del normale
procedimento legislativo e comunque solo con la
partecipazione di larghissimi schieramenti politici.
All'opposto, lo Statuto Albertino, come in genere le
Costituzioni liberali dell'ottocento, era una Costituzione
flessibile, modificabile cioè dal Parlamento con il normale
procedimento di approvazione delle leggi ordinarie; ma si
trattava di un Parlamento in parte di nomina regia e in
parte eletto a suffragio ristretto, che rappresentava gli
interessi della Corona e dell'alta borghesia e che mai
avrebbe potuto minacciare modifiche radicali a una
Costituzione decisamente moderata. |
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