... SAN GILLIO RACCONTA ...

 

Sabato  14 Gennaio 2006 alle ore 15,00

SALVIAMO  LA  COSTITUZIONE

 

INCONTRO – DIBATTITO

CON AMMINISTRATORI E CITTADINI DELLA

ZONA OVEST DI TORINO

 

Tema: modifiche alla Costituzione della Repubblica Italiana

 

     Interverranno:

 

     Avv. Antonio CAPUTO,

     vicepresidente del “Comitato Piemontese e Valdostano a difesa

     della Costituzione”

        Dott. Gian Carlo CASELLI,

      Procuratore Generale della Repubblica  a Torino

     Prof. Nicola TRANFAGLIA,

     Professore Ordinario di Storia dell’Europa dell’Università di Torino

    

 

                                                                  Il Sindaco

                                                                   Stefano Cavallero

 A cura di:

     Amministrazione Comunale di San Gillio

     Comitato Piemontese e Valdostano a Difesa della Costituzione

     Sezione Intercomunale dell’A.N.P.I. di Alpignano  

 


Apre l’incontro Pietro Fissore, vicesindaco e moderatore:

 

          “Questa giornata è stata concordata con i Sindaci qui presenti, con l’ANPI e con tutte le forze politiche e sociali appartenenti alla zona ovest di Torino. L’incontro si intitola “Salviamo la Costituzione” e siamo qui per riflettere su questo importantissimo tema; il 16/11/2005 sono state approvate in Parlamento le modifiche della nostra Costituzione relative a più di 50 articoli su 139 e a 18 disposizioni transitorie finali.

          Tali modifiche stravolgono il testo scritto ed approvato dall’Assemblea Costituente ed entrato in vigore il 1° Gennaio del 1948, la stesura del quale è dovuta ai Padri Fondatori appartenenti a partiti diversi che seppero tuttavia trovare i fondamenti comuni nel condiviso desiderio di democrazia e tra questi permettetemi di nominare: Einaudi, Nenni, De Gasperi, Saragat, Rossetti, Calamandrei, Togliatti, Pertini, La Pira, Terracini e Scalfaro. Il Presidente emerito Oscar Luigi Scalfaro è, per l’appunto, il primo promotore e il coordinatore del Comitato per la Difesa della Costituzione.

          La Costituzione vigente prevede che qualunque modifica alla Costituzione stessa, entri in vigore solo se approvata da non meno dei due terzi dei parlamentari in seconda lettura: ciò non è avvenuto e l’art. 138 prevede in questo caso la consultazione referendaria.

          Nell’incontro odierno il Procuratore Generale della Repubblica Gian Carlo Caselli e l’avv. Antonio Caputo, vicepresidente del Comitato Piemontese e Valdostano per la Difesa della Costituzione, ci spi4egheranno in che cosa consistano e che cosa comportino le modifiche approvate in Parlamento.

          Al termine dell’incontro sarà possibile firmare la richiesta di referendum.

 

Interviene Stefano Cavallero, Sindaco di San Gillio:

 

          Oggi è una bellissima occasione perché è raro avere una partecipazione così numerosa e sentita.

          Ringrazio tutti i Sindaci e gli amministratori presenti con i gonfaloni e tutte le Associazioni con i loro labari, prima di tutto il Presidente Provinciale e Regionale dell’ANPI, le numerose sezioni della zona ovest di Torino e in particolare i membri dell’ANPI Sangilliese che hanno fortemente voluto e collaborato per la realizzazione di questo incontro.

          Un ringraziamento va inoltre al Presidente della Provincia Antonio Saitta, che si scusa di non poter partecipare per precedenti impegni e augura buon lavoro. Ringrazio ancora tutte le autorità civili, militari e religiose presenti.

          Un ringraziamento particolare va al mondo della scuola che da sempre si attiva nel mantenere viva la memoria storica e, a tale proposito ricordo che ogni anno, agli alunni delle classi V, viene consegnata copia della Costituzione vigente auspicando che, riflettendo su di essa, diventino cittadini consapevoli e partecipi.

          Oggi, con gli stessi auspici, copia della Costituzione viene consegnata ai neodiciottenni che invito qui al tavolo.

          Ho il piacere di annunciare l’adesione del Comune di San Gillio al progetto

“IL TRENO DELLA MEMORIA” viaggio in Polonia e visita ad Auschwitz e Birkenau, organizzato dall’Associazione “Terradelfuoco” in collaborazione con Acmos.

Il viaggio dei dodici ragazzi dell’87 che hanno deciso di partecipare sarà finanziato dall’Amministrazione.

          Saluto il Prefetto e il Questore, il Presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso e i Comandanti della Stazione dei Carabinieri di Rivoli e Pianezza.

Nel nostro Paese spesso si evidenziano grosse difficoltà di comunicazione; a livello locale i rapporti con i cittadini sono più diretti, perché è più facile l’incontro e, a volte, lo scontro…

E’ con orgoglio ed emozione che ricevo il dott. Gian Carlo Caselli, l’avv. Antonio Caputo e il prof. Nicola Tranfaglia che per impedimenti improvvisi non è qui con noi.

Li ringrazio per la loro disponibilità.

A chi sta crescendo bisogna dare dei valori, perché rischiamo di vivere in un mondo sempre più materialista e disumano, un mondo dove si perdono i valori sociali e, a volte, anche i valori della vita, così splendidamente rappresentati dalla nostra Costituzione.

Concludo per lasciare la parola agli invitati, ringraziando tutta l’Amministrazione e la Pro-loco, sempre disponibile a collaborare. Un ringraziamento particolare è doveroso farlo a tre persone: Pietro Fissore, che con la sua esperienza mi aiuta nel difficile compito di amministratore, Valeria Pettenuzzo, consigliera comunale da tanti anni e insegnante nella Scuola elementare  e Maria Grazia La Monica, insegnante in pensione e valida collaboratrice esterna: li ringrazio per la continua presenza, per la sensibilità che hanno verso la cittadinanza, per il loro impegno a mantenere viva la memoria storica.

 

Interviene Gian Carlo Caselli, Procuratore Generale della Repubblica a Torino:

 

          Sono io che ringrazio voi, perché prima di tutto siete davvero tanti e tanto interesse per questo problema che è la riforma della nostra Costituzione, è indubbiamente un ottimo segnale per quanto riguarda in generale la salute del nostro Paese, dell’area in cui ciascuno di noi vive e opera quotidianamente e nello stesso tempo vi ringrazio perché con questa così folta, massiccia presenza, mi date l’opportunità di esprimere alcune considerazioni avendo appunto un interlocutore particolarmente significativo quale è rappresentato da tutti quanti voi insieme oggi.

          “Salviamo la Costituzione”: io credo che sia utile cominciare prima di tutto a chiederci che cos’è che vale la pena di salvare, quali sono i valori della Costituzione Repubblicana, i valori comuni che dovrebbero, secondo me, essere interesse di tutti, non importa come la pensiamo, non importa se siamo di destra, di centro, di sinistra. Dovrebbe essere interesse di tutti salvaguardarli, perché offrono delle chance a tutti, indistintamente dall’orientamento politico e culturale per crescere, per stare meglio insieme, per convivere nel rispetto reciproco con delle prospettive di avanzamento che non siano soltanto o prevalentemente di questo o di quello, ma , almeno in linea di tendenza, ugualmente diffuse.

          Credo indispensabile anche accennare, sia pure brevemente, come nasce la Costituzione: lo sappiamo, lo dovremmo sapere tutti, però due parole sulla Resistenza perché di qui nasce , si sviluppa tutto; la Costituzione storicizzata, contestualizzata, presuppone appunto che almeno qualcosa della dittatura fascista e della Resistenza si dica. Significa ricordare che il fascismo non è stato una dittatura “morbida” come qualcuno, anche da pulpiti prestigiosi, vorrebbe far credere. Il fascismo è stato violenza, spietatezza, ferocia, una dittatura sanguinaria, vile. l morti causati dalle squadracce fasciste tra il 1920 e il 1925 sono stati tremila, le vittime del Louvre, del tribunale speciale sedicimila, le persone deferite cinquemila, le condanne inflitte per un totale di 28000 anni di carcere, 38000 le condanne a morte, delle quali 31000 eseguite, 12000 gli oppositori spediti al confino: si veniva spediti al confino perché la si pensava diversamente, pur non avendo fatto nulla di violento nella maggior parte dei casi, bastava che fosse di contrasto o in qualche modo pericoloso per le idee del regime, che non tollerava la manifestazione di idee diverse neanche sotto forma di barzelletta contro il Duce e contro i gerarchi.

          Il confino non era una vacanza…confino significava fine del lavoro, fine delle possibilità di completare il ciclo di studi, troncata la vita di relazione, gli affetti famigliari, spesso una prigione a cielo aperto, ma prigione.

           Per non parlare della persecuzione degli ebrei, per non parlare alla fine dell’alleanza con i nazisti attraverso la Repubblica di Salò, che comporta tutta una serie di stragi: Barletta, Matera, Conca della Campania, Napoli, Capistrello, Roccaraso, Gubbio, Roma, Stazzema, Filizzano, Caviglia, Marzabotto, Fossoli, Palavano, altre località in Emilia Romagna, in Liguria, in Lombardia, in Piemonte fino a Bolzano, gente senza armi, donne, vecchi, bambini uccisi in queste stragi nazifasciste nel ’43-45 che hanno causato migliaia, letteralmente migliaia di vittime.

          A tutto questo si è contrapposta la lotta di resistenza: come tutele vicende umane anche la resistenza presenta profili molteplici, a volte diversi tra loro e se noi di questo fenomeno, come di qualunque altro, diamo una lettura parcellizzata, segmentata, frammentata, possiamo arrivare a conclusioni anche molto diverse, divergenti, conflittuali. Non voglio insegnare il mestiere a nessuno perché non faccio lo storico, ma quello che mi hanno insegnato è in questa direzione, quella storica deve essere una lettura complessiva. E allora una lettura complessiva consente di dire, parafrasando Italo Calvino, che anche il più onesto, il più idealista, il più dolce dei repubblichini si batteva per una causa sbagliata: la dittatura, mentre anche il più ignaro, il più balordo, il più spregiudicato partigiano si batteva per una causa giusta: la democrazia, la libertà, il rispetto uno dell’altro senza prepotenze, prevaricazioni, violenze esercitate dagli uni nei confronti degli altri. Ecco, questa è la Resistenza, il valore della Resistenza…allora tutto può essere sintetizzato ricordando che la lotta partigiana ha rappresentato per il nostro Paese un momento di importante, decisivo riscatto: il nostro Paese ha rialzato la testa, ha recuperato dignità morale, rispetto di sé grazie al sacrificio, alla morte di tanti partigiani che ci hanno consentito di recuperare libertà e di costruire delle prospettive finalmente diverse da quelle cupe, fosche, terribili caratterizzate da un regime dittatoriale. Da qui nasce la nostra Costituzione, e tutto quel che ho detto, seppure sommariamente, cosa è stato il fascismo, cos’ha rappresentato la lotta partigiana in termini di uscita da questa cupa realtà, ci fa capire quanti sacrifici, quanta sofferenza, quante vittime siano state necessarie per far riconquistare al nostro Paese l’onore e la libertà. Quale terribile prezzo di sangue si sia dovuto pagare per avere la Costituzione Repubblicana di cui stiamo parlando, non  è un prodotto legislativo qualunque, è un prodotto legislativo che ha alle spalle la dittatura fascista, la lotta per abbatterla, il prezzo e i sacrifici di sangue per ottenerla.

          Che cos’è la Costituzione che hanno voluto tutti i rappresentanti delle più diverse forze politiche esistenti nel nostro Paese? Un codice di diritti e doveri prima di tutto, ma nello stesso tempo un patto sociale, un compromesso solido tra istanze diverse: quelle cattoliche, quelle socialiste, quelle comuniste, quelle liberali e persino alcune presenze monarchiche, pur trattandosi di Costituzione Repubblicana, avevano rappresentanza nell’Assemblea Costituente, nel dibattito e nel confronto.

          Un patto sociale di convivenza tra uomini liberi diversi, ma tutti egualmente liberi. E’ questa prospettiva di tenere insieme libertà e uguaglianza mediante un sistema di regole fondamentali condivise da tutti che costituisce il nocciolo duro o, se preferite, la scommessa della nostra Costituzione Repubblicana, mediante un progetto di Stato vissuto non come espressione dei rapporti di forza, del prevalere degli interessi di qualcuno sugli altri, ma come garante di traguardi, di obiettivi che è importante fissare nella legge delle leggi, la legge fondamentale della Costituzione, come garante dei diritti di tutti e questa parola “tutti, tutti, tutti” l’ho già detta mille volte e la ripeterò probabilmente tante altre è la quintessenza del valore di una Costituzione moderna, di una Costituzione democratica. Spazio quindi per tutti, e nel momento in cui il testo costituzionale viene elaborato, e nel momento in cui vengono fissati i principi che devono guardare all’interesse di tutti e non soltanto o prevalentemente all’interesse di questa o di quella categoria o classe: deve riguardare tutti.

          Una Costituzione democratica e moderna si forma col contributo, col consenso, col confronto autentico senza soffocare niente di questo confronto fra tutti e avendo come obiettivo, come punto di riferimento quello che può interessare e convenire a tutti e non solo a qualcuno.

          Questo è il patrimonio che la lotta di Resistenza ci ha consegnato, che l’Assemblea Costituente ha elaborato e tradotto in cifra normativa, è il patrimonio che, secondo me, va difeso oggi di fronte a prospettive delle quali siamo appunto qui a discutere per vedere se possono rappresentare un progresso, cosa che non si può escludere a priori, oppure un rischio rispetto al consolidamento di questi valori nei quali io personalmente credo e in cui, ripeto, dovrebbero credere tutti i cittadini italiani di destra, di centro, di sinistra perché corrisponde ad una linea di tendenza, ad un traguardo che va verso l’interesse e la convenienza di tutti e non solo di qualcuno.

          Naturalmente parlare di fascismo, parlare di Resistenza significa anche ripercorrere gli orrori della guerra, della violenza nazifascista creando così le premesse per attribuire il giusto valore ad uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione che è il ripudio della guerra, di qualunque guerra, principio intrecciato inestricabilmente con la promozione delle organizzazioni internazionali che si propongono di favorire e assicurare la pace e la giustizia. Parlare di fascismo e di resistenza è un modo per capire che la conquista della democrazia e dello stato di diritto, consacrato dalla Costituzione che nella resistenza nasce, comporta il rispetto di regole condivise, di pluralismo e di confronto autentico vero, non finto, di ricerca di giustizia e di pace.

          Una conquista sofferta di valori che vanno difesi, che sono continuamente da sviluppare, da consolidare, nulla di statico, di cristallizzato, di definitivamente acquisito, ma sempre da faticosamente riconquistare e rinnovare giorno per giorno, senza egoismi, senza pensare esclusivamente a se stessi e ai propri interessi, mettendo in cima ai nostri pensieri l’interesse comune, quello per cui hanno combattuto i partigiani, quello per cui i padri costituenti si sono liberamente, serenamente, a volte duramente confrontati ma avendo sempre tutti insieme come punto di riferimento l’interesse comune. Uno dei valori della nostra Costituzione è appunto questo confronto tra opinioni diverse come metodo e come principio; è un valore profondo della democrazia, della civile convivenza, perché se non c’è questo libero, autentico, pieno confronto tra opinioni diverse, ecco che, prima o poi, si costruiscono nemici da convertire o da neutralizzare e, invece del movimento dialettico tra orizzonti politico-culturali diversi, finisce per delinearsi una specie di assolutismo che cancella ogni effettivo pluralismo, cancella la possibilità stessa di un dialogo anche aspro, anche duro, ma libero, nel quale abbiano effettivamente spazio tutti e non solo alcuni.

          Oggi questi problemi, al di là della riforma costituzionale, sono di tutta evidenza perché uno dei momenti fondamentali della democrazia è il pluralismo effettivo dell’informazione; se questo pluralismo non è effettivo, è finto, se l’informazione è concentrata in pochissime mani, figuriamoci poi se fosse in una mano soltanto, ecco che la possibilità di un dialogo libero accessibile a tutti e da tutti fruibile svanisce, automaticamente svanisce e in questo modo si affievolisce o quantomeno rischia di traballare un pilastro della democrazia scritto nella Costituzione. Qual è la posta in gioco oggi da un punto di vista generale? Nelle specificazioni riguardanti questa o quell’altra articolazione istituzionale entrerà l’avvocato Caputo con maggior competenza e precisione di me.

          La posta in gioco è questa: nella Costituzione Repubblicana, così come ci è stata regalata dalla Resistenza prima, dall’Assemblea Costituente poi, è disegnata una democrazia che viene definita pluralista, basata sul primato dei diritti uguali per tutti, come linea di tendenza, come traguardo, come obiettivo, con una separazione tra i vari poteri autentica, nessun potere ha prevalenza, supremazia sugli altri, ci sono pesi e contrappesi, un sistema di equilibrio, di controllo reciproco…a questa concezione pluralista di democrazia se ne vuole sostituire un’altra che, poco o tanto, direttamente o indirettamente ma in maniera abbastanza significativa è una concezione fondata non più sul primato dei diritti, sulla separazione dei poteri, ma fondata sul primato della politica, meglio sul primato della maggioranza politica del momento.

          E allora capiamo subito che non è un discorso che riguarda questa maggioranza di oggi o quella di domani…qui non è un discorso né di destra né di centro né di sinistra, ma la democrazia dove questa non può che significare spazi uguali per tutti, senza preminenza univoca, irreversibile di una parte soltanto sulle altre con diminuzione degli spazi che a tutti devono essere garantiti. Quindi non più una concezione pluralista, ma una concezione diversa: il primato della maggioranza politica contingente con sostanziale emarginazione, se non addirittura svuotamento delle funzioni di controllo e delle funzioni di garanzia.

          Che cos’è il costituzionalismo moderno? E’ una serie di limiti, di vincoli al potere della maggioranza: chi ha più voti, sacrosantamente governa perché ha la maggioranza, ha più consenso, ma non c’è costituzione moderna al mondo che non preveda precisi limiti a questo potere della maggioranza perché, in assenza di questi limiti e questi vincoli, non c’è potere della minoranza vero, effettivo, reale e se non c’è potere della minoranza vero, effettivo, reale, non c’è la possibilità stessa di quella alternanza “oggi governo io, domani governi tu, dopodomani magari tornerò a governare io” che è l’essenza stessa della democrazia. I costituzionalisti nordamericani dell’800 hanno parlato di pericolo di tirannide della maggioranza se non ci sono questi vincoli, questi limiti al potere della maggioranza stessa.

          Chi ha più voti governa, ma non è tutto, il consenso non è tutto: ci possono essere altri decisivi momenti di democrazia, altrimenti è una democrazia diversa da quella dei padri costituenti, diversa da quella delle costituzioni moderne, diversa da quella che va davvero nel senso e nell’interesse della convenienza di tutti i cittadini. E questo, ripeto, è un problema di tutti i cittadini, di tutte le forze culturali, sindacali, politiche e professionali, di tutti quelli che, comunque si collochino, a destra, a sinistra, al centro, siano allarmati, preoccupati per le possibili conseguenze dell’appannamento, anche solo dell’appannamento di quei valori democratici che sono scritti, scolpiti nella nostra Costituzione e che rischiano, per certi profili, di non avere più quella forza, quella univocità, quella chiarezza che nella Costituzione originariamente scritta avevano e che invece nella riforma di cui stiamo discutendo possono avere, in una certa misura, perduto. Una legge organica come la nostra Costituzione che è fatta, come dire, di vasi comunicanti, se si tocca da una parte, non è detto che il discorso rimanga circoscritto a quella parte; inesorabilmente, come logica conseguenza, ci sono effetti indotti sulle altre parti, non possono non esserci nel medio lungo periodo. Tornando ai valori, i principi espressi nell’art. 3 li troviamo in tutte le grandi convenzioni riguardanti i diritti umani, in tutte le Costituzioni del secolo appena concluso, quelle che nascono sulle rovine prodotte dalle immani tragedie delle guerre mondiali. Noi, le cose che scaturiscono appunto dai guasti terribili delle dittature, la contrapposizione a tutto questo l’abbiamo trascritto in modo particolarmente significativo nell’art. 3, che è davvero il perno, il volano, la ruota motrice della nostra Costituzione. L’art. 3 dice “ tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, sono uguali davanti alla legge” poi soprattutto aggiunge “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto libertà e uguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”: il valore principale, il valore portante, il valore che illumina poi tutti gli altri della nostra Costituzione è diventato diritto cosiddetto debole, un diritto ancora insufficiente, un diritto come dire che sta facendo i primi passi ma che tuttavia esiste, che è in cammino, quello che in antico si poteva leggere nel salmo con riferimento allo specifico settore della giustizia con il quale mi avvio a concludere il mio intervento. C’è un salmo che molti conoscono e che dice “sino a quando giudici starete dalla parte dei malvagi? Rendete giustizia alla vedova e all’orfano, al misero, all’indigente, fate ragione”: è la traduzione, se volete, dell’articolo 3; tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, sono uguali di fronte alla legge, non si deve stare dalla parte di questo o di quello, bisogna soprattutto rendere giustizia a chi ne ha maggiormente bisogno, perché per il soggetto debole, vedova, orfano, misero, indigente, è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che si frappongono alla realizzazione di una vera e autentica uguaglianza sostanziale, non solo formale.

          In questo modo, il diritto, quello costituzionale, finisce per trovarsi addirittura un passo avanti rispetto alla società, nel senso che cerca, ha come proposito, come obiettivo di trascinare la società verso una dimensione forte di cambiamento; questo è uno dei più autentici, solidi valori della nostra Costituzione, in perenne divenire, in perenne sviluppo, ma guai a rinunziarvi perché si cancellerebbero delle prospettive di crescita, nel senso dell’uguaglianza, dell’appoggio, del sostegno soprattutto a coloro che hanno maggiormente bisogno…e si disegna, si costruisce nel nostro sistema, attraverso i principi sanciti nella Costituzione Repubblicana, quella che è, è un parolone ma non vi spaventate, una “democrazia emancipante”, uno dei principali obiettivi della nostra Costituzione, un obiettivo nel quale i diritti, quelli che già esistevano prima della nostra Costituzione, riprendono la libertà di parola, di associazione, di riunione ecc. che il fascismo aveva cancellato.

          Questi diritti si intrecciano col principio di uguaglianza in senso sostanziale scritto nell’art. 3 in modo da fare della cittadinanza uno status che comprende non solo il diritto elettorale fondamentale, che non può essere l’unica cosa, ma comprende anche il diritto ad un reddito decoroso, a condurre una vita civile ancorché si sia ammalati, vecchi, disoccupati. Questo è il valore irrinunciabile di una costituzione moderna, democratica, pensata nell’interesse di tutti cioè secondo i principi di giustizia distributiva la cui attuazione è fondamentale per promuovere una migliore qualità della vita. Questi principi sono diventati diritti e le politiche per realizzarli non sono negoziabili, essi sono sottratti alla negoziazione politica proprio perché fissati nell’interesse di tutti indifferentemente e a prescindere dalla maggioranza politica contingente.

          Per concludere, due parole per ciò che riguarda specificatamente il versante amministrazione della giustizia e l’incidenza che la riforma può avere su questo e altri versanti; la storia ci insegna che il potere politico ha sempre cercato, in tutta la storia dell’umanità, di controllare il potere giudiziario che, durante il fascismo, anche se in modo abbastanza sofisticato, è stato di fatto asservito seppure con nobili coraggiosissime eccezioni. La Costituzione Repubblicana parte da questa esperienza di sostanziale asservimento del potere giudiziario al potere politico e cerca di piazzare tutta una serie di paletti perchè questo non abbia mai più ad accadere.

          Ecco allora alcuni principi fondamentali: nessuno può scegliersi il giudice che preferisce o imporre un giudice diverso da quello precostituito per legge, quel che si dice giudice naturale; il giudice deve essere sottratto ad ogni rapporto di dipendenza da soggetti esterni all’ordine giudiziario e, nello stesso tempo, deve essere sottratto ad ogni subordinazione anche all’interno dello stesso ordine giudiziario.

          Non ci possono essere giudici speciali, tribunali speciali come al tempo del fascismo, la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed esercita un autogoverno attraverso il C.S.M.; i magistrati si distinguono solo per funzioni, sono inamovibili, l’azione penale è obbligatoria e non disponibile.

Sono tutti tentativi importanti di tradurre sul piano dell’amministrazione della giustizia, il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge che si garantisce soltanto attraverso una effettiva indipendenza della magistratura. Questa organizzazione della giustizia nel nostro Paese, con luci ed ombre, alti e bassi, ritardi, ostacoli, incomprensioni, errori ed insufficienze, nonostante tutto ha funzionato…tangentopoli e via seguitando sono la dimostrazione concreta che la giustizia può essere uguale per tutti e può indirizzarci anche nei confronti di chi conta, se ha sbagliato. E proprio perché ha dimostrato di poter funzionare, la giustizia ha creato vistose preoccupazioni nelle posizioni di potere, inducendo vari tentativi per ridimensionare la magistratura e sterilizzare la sua indipendenza; non abbiamo soltanto riforme costituzionali con la procedura di revisione della Costituzione, possiamo anche avere leggi ordinarie approvate con procedura normale, che però incidono fortemente sulla Costituzione. Il nuovo ordinamento giudiziario, per esempio, approvato con legge ordinaria, incide fortemente su alcuni principi costituzionali, tant’è che il Capo dello Stato la prima volta ha rifiutato di promulgarlo per le macroscopiche violazioni  dei principi stessi, violazioni presenti anche in seconda lettura quando il Presidente della Repubblica non può più intervenire anche se le rileva.

          Le modifiche della Costituzione cambiano il funzionamento della magistratura in molti punti: per esempio il C.S.M. è svuotato di molti poteri che passano nelle mani del Primo Ministro, quindi la separazione dei poteri non è più così rigorosa: c’è in’interferenza di un potere che con l’amministrazione della giustizia non c’entra nulla. La Consulta rimarrà composta come ora da 15 giudici, di cui 7 di nomina parlamentare (ora sono5), altri 4 nominati dal Presidente della Repubblica (ora sono5), altri 4 nominati dai magistrati di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti (ora sono 5); basterà un solo voto conforme a quello dei giudici di nomina parlamentare per avvallare qualsiasi legge. La Corte Costituzionale è il momento nevralgico per garantire una democrazia pluralista, quella di cui abbiamo parlato, per garantire quella limitazione del potere della maggioranza che non può non avere limitazioni, è custode ed interprete dei limiti giuridici posti dalla Costituzione.

          L’art. 1 della nostra Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, il potere appartiene al popolo che lo esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Questi limiti sono a rischio perché diventa più forte la componente politica, espressione della maggioranza politica del momento, con tutte le conseguenze di assoluta evidenza. La nuova Corte costituzionale diventa, tout cour, un organo che si preoccupa di rappresentare più la maggioranza politica del momento che non gli interessi di tutti. C’è anche il fatto che alla nuova Corte Costituzionale vengono attribuite molte competenze nuove, la sua competenza viene ampliata enormemente perché viene allargata al contenzioso delle autonomie locali: province, comuni, città metropolitane, il che significa immettere nel circuito della giustizia costituzionale le controversie riguardanti oltre 8.000 nuovi soggetti e, con questa composizione della Corte, sia pur aumentata di due unità di sola estrazione politica, è facile prevedere che non ce la faranno a reggere il carico di lavoro così grande, immenso. Il funzionamento della Corte sarà intasato, paralizzato, con molto meno spazio e molto meno tempo per occuparsi di garantire, tutelare i principi scritti nella prima parte della Costituzione, quelli che riguardano davvero l’uguaglianza dei cittadini e la possibilità di essere trattati tutti allo stesso modo, senza privilegiare invece questo o quello. E, come ultima considerazione, c’è poi la parte della riforma costituzionale che riguarda la tutela giurisdizionale dei diritti sociali, il nocciolo duro della devolution italiana, cioè la ridefinizione del rapporto tra potestà legislativa dello Stato e potestà legislativa delle Regioni per quanto riguarda la sanità, la scuola, la polizia amministrativa regionale e locale e ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Qui il dibattito è apertissimo perché si possono soltanto fare delle previsioni su quelle che saranno le conseguenze in cifra concreta, effettiva, della nuova normativa: c’è una prima alternativa, la meno grave e allarmante, e cioè che la devolution, questa particolare devoluzione italiana significhi soltanto (tra mille virgolette) che, nelle materie di loro esclusiva competenza, le regioni, anche se sottratte ad alcuni principi che la legislazione statutaria deve invece rispettare, continueranno tuttavia ad essere sottoposte ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e a rispettare la Costituzione e allora le cose potrebbero anche sostanzialmente non cambiare troppo. C’è un’altra prospettiva, assai più pericolosa e concreta, che la competenza legislativa esclusiva attribuita alle Regioni in materia di assistenza e organizzazione sanitaria venga interpretata ed attuata, anche sotto la spinta di fattori economici contingenti o di volontà politiche regionalisticamente caratterizzate in un certo senso,come una realtà del tutto nuova, diversa rispetto alle altre competenze regionali, autorizzando una specie di frantumazione dei sistemi sanitari e scolastici con forti differenziazioni di prestazioni nelle diverse Regioni, senza farsi carico di quei limiti istituzionali e costituzionali. Ecco allora, se questa seconda strada dovesse essere quella che finisce per prevalere, avremmo un regionalismo forte capace di discriminazione, in contrasto con l’uguaglianza.

          Sono scenari abbastanza inquietanti che si ripercuotono sulla prima parte della Costituzione, sull’art. 3 e seguenti e, nel caso prevalesse questa seconda strada e gli spazi perché questo accada ci sono dal punto di vista teorico, e nella traduzione operativa concreta, gli esempi di conseguenze negative che si possono fare sono i seguenti: per ciò che riguarda l’assistenza sanitaria, possibile previsione di priorità di accesso per i residenti rispetto ai non residenti ai centri sanitari di eccellenza, a prescindere dall’oggettiva gravità delle patologie lamentate; introduzione di sistemi di pagamento o di contribuzione fortemente differenziati esclusivamente sulla base del criterio di residenza; gli stessi scenari potrebbero verificarsi sul piano dell’istruzione.

          Per concludere, non sono solo cose che volano sopra le nostre teste, grandi principi, grandi opzioni di carattere ideologico, culturale, politico, storico, sono cose scritte nella Costituzione vigente; le cose scritte nella Costituzione appena riformata possono avere ricadute sul nostro quotidiano modo di vivere, sulla qualità della nostra vita, cose di cui vale la pena occuparsi e discutere per capire qual è la direzione giusta lungo la quale orientarsi.

          Grazie davvero per avermi dato l’opportunità di farlo insieme.

 

FISSORE: credo che, dopo quanto abbiamo ascoltato, ognuno di noi debba farsi portavoce affinché le modifiche alla Costituzione vengano ridiscusse, invitiamo quindi gli amici, i parenti e i vicini a firmare per richiedere il referendum.

La ringraziamo, Procuratore, per quanto ci ha detto. Passo ora la parola all’avvocato Caputo.

 

CAPUTO: innanzitutto sono lieto di vedere tanta gente in questa sala, addirittura quasi tutti i Sindaci del circondario: è un’occasione importante per parlare del referendum costituzionale. Sono qui in rappresentanza del Comitato piemontese che sta nell’ambito del coordinamento nazionale presieduto dal Presidente emerito Oscar Luigi Scalfaro.

          Questa non è una battaglia di destra, di centro o di sinistra, né una battaglia di partito, è una questione di cittadinanza intesa come la possibilità di esercitare un diritto ed è anche un dovere l’avere un ambito comune al cui interno poter svolgere rapporti civili, sociali, economici e soprattutto rapporti con il potere, perché la Costituzione è un edificio che costituisce il fondamento della Repubblica intesa nel suo significato letterale di “cosa pubblica”. Nel momento in cui questa cosa pubblica non è più avvertita e non è più una cosa in cui tutti i cittadini si riconoscono, ma diventa un edificio costruito da una parte e sbaraccato, demolito, modificato dall’altra parte, evidentemente perde la sua natura di edificio capace di consentire a tutti di vivere all’interno di questa casa svolgendo i loro rapporti ed esercitando i propri diritti indipendentemente dalle pulsioni politiche. Sotto questo aspetto, paradossalmente, non è nemmeno una battaglia di sinistra, è più una battaglia di destra, di destra normale, di destra capace di rappresentare un momento di rafforzamento del concetto di comunità nazionale. Ve lo sto dicendo in senso paradossale, ma non troppo in effetti: ieri, con il prof. Vercellone, che è lo stupendo autore di quel libercolo che avete trovato all’ingresso illustrato da raffigurazioni grafiche prodotte da giovani del gruppo Abele, molto chiaro  e schematico, siamo stati a Gassino Torinese in una riunione simile a questa, c’era onestamente molta meno gente, ma c’era anche una forte passione dei presenti. I fautori ed organizzatori della riunione hanno predisposto questo schemino, molto interessante perché dipinge graficamente il problema che stiamo esaminando.

          La Costituzione è raffigurata come una piramide: partendo dall’alto abbiamo i principi fondamentali, gli articoli 1-12, diritti e doveri dei cittadini, scendendo abbiamo il titolo I (rapporti civili), il titolo II (rapporti etico sociali), il titolo III (rapporti economici), il titolo IV (rapporti politici) e si arriva così all’art. 54; scendiamo ancora di un gradino e, nella II Parte della Costituzione (Ordinamento della Repubblica), comincia il disastro: titolo I (il Parlamento), titolo II (il Presidente della Repubblica), titolo III (il Governo), titolo IV (la Magistratura), titolo V (le Regioni, le Province, i Comuni), titolo VI (garanzie costituzionali) dall’art. 55 all’art. 139; di questi 84 articoli ben 53 sono stati modificati o cancellati! Crollando il fondamento, la base della Costituzione, crolla tutto l’edificio: il Presidente Scalfaro, presidente del Coordinamento dei comitati “Salviamo la Costituzione” ammonisce di non demolire la Costituzione eventualmente di aggiornarla ma non demolirla.

          Non è una battaglia di “conservazione” perché la Costituzione Italiana non è conservatrice: è una costituzione rivolta al futuro, non è miope; come diceva Piero Calamandrei, uno dei padri costituenti, è una costituzione presbite, non fatta per regolare la contingenza, a seconda di interessi di gruppo o di appartenenza di parte, trattandosi di regolamentare la convivenza civile, la convivenza comune.

          Deve essere una costituzione che guarda lontano, nel senso che coloro che la costruiscono devono porsi non solo dal punto di vista della maggioranza, ma anche della minoranza, in modo che le garanzie costituzionali, e cito Calamandrei, siano soprattutto studiate per difendere i diritti di questa minoranza: è il metodo costituzionale, il cosiddetto spirito costituzionale che alimenta tutte le costituzioni moderne e ne è la pietra fondante, inteso come regolamentazione condivisa, come spirito patriottico, come patriottismo costituzionale nato dagli uomini e dalle donne che hanno fatto la nostra Resistenza, dai cittadini che rivendicano un ambito comune nel quale potersi collocare.

          Il Presidente della Repubblica Ciampi, che è notoriamente un patriota, oltre che Presidente, recentemente citava Giuseppe Mazzini, uno dei Padri della Patria, in un discorso rivolto agli studenti fiorentini, citava un’espressione molto bella di Mazzini che voglio leggervi: “non c’è patria senza un diritto comune, o quando l’uniformità di quel diritto è violata dall’esistenza di caste intoccabili, di privilegi, di ineguaglianze. Una nazione, un popolo nasce da un principio condiviso, sviluppato e riconosciuto da tutti, in caso contrario avremo solo moltitudini aggregate casualmente che circostanze altrettanto fortuite potranno dividere in qualsiasi momento”. Di qui nasce il percorso storico che va dal Risorgimento alla Resistenza, alla Costituzione repubblicana, al problema dell’attuazione della stessa, una costituzione fresca d’inchiostro che, come dice il Presidente Scalfaro, rappresenta un programma per l’avvenire: basti pensare all’art. 3 che citava prima il dott. Caselli “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Capite che è un programma d’azione, è un programma per l’avvenire, è un principio che governa anche l’attività delle legislature, è una speranza, forse anche un’utopia, ma è anche un modo per convivere insieme in direzione di un obiettivo che valga la pena per tutti.

          Gustavo Zagrelbeski, ex-Presidente della Corte Costituzionale ammoniva che “non c’è Costituzione se la sua base di consenso non trascende le divisioni della politica comune”, cioè non trascende la divisione tra maggioranza e opposizione; una costituzione del Governo non è una costituzione, perché non ha la legittimità necessaria e questa mancanza iniziale si rifletterà sugli atti che saranno compiuti in futuro, invece di pacificare alimenterà il conflitto ed è proprio questo che non vogliamo. La battaglia ha un duplice obiettivo: la difesa e l’attuazione della Costituzione: anche se sono possibili eventuali aggiustamenti, modificazioni, aggiornamenti, miglioramenti, non è ammissibile una tale devastazione dell’edificio e, soprattutto non è ammissibile il metodo. Cosa intendo per metodo? Lo spirito costituzionale, di cui abbiamo parlato finora, viene tradito se la riforma viene imposta da una maggioranza, quale che sia, di destra, di centro o di sinistra. Lo spirito costituzionale è animato dal metodo costituzionale che così viene violentato perché si vuole imporre una Costituzione diversa dal frutto di una lunga lotta secolare, dal Risorgimento alla Resistenza, alla 2° guerra mondiale e dalle attese di rinnovamento e di rinascita del nostro paese. E’ un processo che non può che comportare conflitto e divisione, quindi va contrastato per dare una base di legittimità alla nostra carta comune. Ci sono aspetti del contenuto che qui non è possibile approfondire, che però occorre toccare almeno nei punti essenziali. Qual è l’aspetto fondamentale che è davanti a noi? E’ l’attribuzione al Presidente del Consiglio dei Ministri, e in generale anche al Governo di poteri che prevaricano il Parlamento e che impediscono opportuni e anche necessari controbilanciamenti. La Costituzione Repubblicana del ’48 è una costituzione dal congegno delicato, armonico, una piccola orchestra in cui il Parlamento legifera, il Governo deve ottenere la fiducia dal Parlamento, il Presidente del Consiglio, nominato dal Capo dello Stato, a sua volta nomina i ministri.

          Il Presidente del Consiglio è un  primis interpares, infatti si chiama Presidente del Consiglio dei Ministri laddove la riforma introduce una nuova denominazione: Primo Ministro. Primo Ministro era Benito Mussolini; dal punto di vista linguistico “Presidente del Consiglio” esprime un altro concetto.

          Il Presidente della Repubblica è il garante supremo, ha il potere di sciogliere le camere, rinviare una legge al Parlamento se rileva manifesta incostituzionalità o per motivi che attengono ad un’opportunità di carattere politico, perché venga riesaminata. Potere che purtroppo il Presidente Ciampi ha dovuto notoriamente esercitare in più di una occasione, perché evidentemente qualcosa non funzionava come nel caso della riforma dell’ordinamento giudiziario, legge devastante dal punto di vista dell’equilibrio costituzionale. Abbiamo ancora una magistratura indipendente ed autonoma, che ha una funzione di garanzia non solo nel limitare il “potente”, in virtù del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, ma anche nel garantire i diritti di tutti.

          La Corte Costituzionale è un organo supremo di garanzia che esercita un potere di controllo sulle leggi del Parlamento: non è sufficiente che una legge venga emanata, ma è necessario che questa sia anche conforme alla Costituzione che la deve legittimare. La piramide crolla con la riforma che ci viene proposta in quanto il premier avrebbe un premierato addirittura assoluto tant’è vero che Franco Ippolito, Presidente di Magistratura Democratica in sede nazionale, ha parlato di “dittatura elettiva”. Il Primo Ministro non viene più nominato dal Presidente della Repubblica, che semplicemente prende atto della sua elezione, quindi l’elezione diventa un momento plebiscitario che vanifica la funzione di raccordo e di garanzia propria del Capo dello Stato. Il Primo Ministro viene eletto sulla base di un programma di governo, che viene in un certo senso costituzionalizzato impedendo una libera espressione del Parlamento, le cui prerogative vengono sminuite e depotenziate, diventando così un organo passivo, non più espressione della sovranità popolare.

          Il Primo Ministro nomina i ministri e può sfiduciarli, venendo meno la collegialità del Consiglio dei ministri, mentre attualmente mandar via un ministro è un’impresa molto difficile; inoltre può sciogliere il Parlamento ed è questo l’aspetto più agghiacciante perché introduce un potere terribile, una facoltà e una prerogativa che comporta un nesso perverso e probabilmente anche ricattatorio, perché se il Consiglio dei Ministri non fosse d’accordo con il premier, lui potrebbe semplicemente mandarli tutti a casa. E’ evidente che si tratta quindi di un meccanismo che introduce una superiorità funzionale del primo ministro rispetto al Consiglio dei Ministri, una supremazia del Primo Ministro e del Consiglio dei Ministri rispetto al Parlamento e la separatezza di quest’organo dal Parlamento stesso; il che è molto inquietante perché si tratta di una modifica, evidentemente e obiettivamente, di segno autoritario; una modifica che ha fatto sì che taluno abbia detto “siamo tornati all’uomo solo al comando”. Un progetto del genere cambia la natura stessa della forma dello Stato: è un modello assolutamente inedito, che non è stato mai sperimentato in nessun Paese del mondo, tant’è che un costituzionalista importante come Alessandro  Piezzolusso, un grande giurista, ha scritto un bellissimo saggio intitolato “Le riforme costituzionali, una transizione per destinazione sconosciuta” in cui afferma che cambia la forma dello Stato, cambia la forma repubblicana: il cittadino cioè non è più colui che vive nella casa comune che ha contribuito a costruire, ma è colui che subisce un meccanismo di tipo autoritario.

          C’è chi ha detto che si tratta di una riforma incostituzionale dal punto di vista del metodo e questa è quasi una contraddizione in termini. C’è una norma nella Costituzione, l’art. 139, che recita “la forma repubblicana non è soggetta a revisione costituzionale”: e qui, paradossalmente, è in gioco davvero la forma repubblicana, in senso politico sostanziale.

          Voglio aggiungere qualche altra considerazione di carattere illustrativo di questo progetto: il ruolo del Parlamento è un ruolo estremamente confuso, non abbiamo più due Camere, ma la Camera dei deputati e il Senato Federale della Repubblica che, in talune occasioni si riuniscono in seduta comune. La competenza generale per leggi di competenza dello Stato (e non è chiara la distinzione tra leggi di competenza dello Stato e leggi di competenza delle Regioni) apparterrà alla Camera dei deputati; al Senato Federale apparterrà una competenza per le sole materie di legislazione concorrente…cosa vuol dire legislazione concorrente? Vi risparmio la lettura del terribile articolo che è ostico anche dal punto di vista lessicale e linguistico, in breve si tratta delle materie in cui sono parimenti competenti tanto lo Stato che le Regioni: è evidente che le Regioni, sulla base della “devolution”, vorranno legiferare e si potranno creare più occasioni di conflitti possibili di competenza. In tal caso cosa prevede il progetto? Che il conflitto venga esaminato e risolto dalla Corte Costituzionale, che quindi si troverà oberata da una quantità di ricorsi che rischieranno di paralizzarla; una Corte Costituzionale che, peraltro, come diceva prima il dott. Caselli, sarà sicuramente politicizzata in senso negativo perché, aumentando il numero dei giudici di nomina parlamentare, essendo il Parlamento governato dalla maggioranza, avrà un numero maggiore di giudici fedeli al governo. Il ruolo di garanzia e anche il ruolo di libertà della Corte viene decisamente compromesso, o comunque rischia di esserlo in modo devastante, inficiando l’equilibrio democratico del Paese. Senza fare dell’allarmismo, credo che obiettivamente sia il caso di dire che l’equilibrio democratico è a rischio, per cui dobbiamo scendere in campo senza reticenze e sena remore, informando tutti quelli che incontriamo, non dimenticando che finora le Costituzioni sono state sempre il prodotto di una lotta libertaria.

          La Costituzione è stata sempre il frutto di una lotta del governato, del cittadino comune che rivendica uno spazio di libertà nei confronti del potere, è una limitazione del potere. In questo caso noi abbiamo un processo esattamente inverso, abbiamo il potente di turno, il governante che cambia la Costituzione, ne fa un’altra, ma non per attribuire ai cittadini maggiori diritti e una maggiore libertà, ma per rivendicare a se stesso maggiori poteri, maggior forza. Questo purtroppo si è già visto nella storia, con l’avvento del fascismo e del nazismo; le leggi che hanno modificato lo Statuto Albertino e la Costituzione di Weimar hanno regalato crescentemente al governo di turno poteri ulteriori, rafforzandone le prerogative a tal punto che poi il ruolo del Parlamento è venuto meno ed è caduta la democrazia. Non voglio arrivare a temere un quadro di questo genere perché abbiamo il vincolo europeo, perché siamo nell’ambito di un meccanismo complesso, perché spero ci siano molti anticorpi disponibili e, a giudicare dalla presenza di tanta gente qui oggi, pare che gli anticorpi ci siano per contrastare il virus che sta penetrando nel nostro organismo sociale e civile, per riappropriarsi dei propri diritti, delle proprie prerogative, per conoscere, per informarsi e mobilitarsi, per cercare di realizzare la propria partecipazione alla vita democratica e alla vita sociale, in generale.

          Un altro punto che voglio ora rapidamente toccare riguarda la cosiddetta devolution…o devoluzione: che cosa ha introdotto la riforma? Ha introdotto dei poteri legislativi di competenza esclusiva delle Regioni in tre materie: l’assistenza sanitaria, la scuola, la polizia locale e amministrativa. Si è detto che in questo modo cambia solo la seconda parte della Costituzione, cioè l’Ordinamento della Repubblica e non la prima parte che riguarda i Diritti e Doveri dei cittadini e i principi fondamentali, il diritto all’uguaglianza, il diritto alla salute, il diritto all’istruzione, il diritto di parità di trattamento nei rapporti con l’autorità amministrativa. Non è così, evidentemente non è così perché, nel momento in cui si attribuiscono poteri legislativi esclusivi in queste materie, tutto questo può comportare di fatto un attentato al principio di universalità dei diritti, poiché ogni Regione potrebbe regolamentarle in modo diverso. Facciamo un esempio: un pugliese che abita  a San Gillio da quarant’anni e che ha il padre o la madre in Puglia che abbisognano di cure, e li volesse far ricoverare in un ospedale piemontese, potrebbe non poterlo fare per la regolamentazione adottata eventualmente dalla Regione Piemonte. Quindi il principio di universalità dei diritti entra in crisi. I fautori della riforma dicono: “c’è una norma che prevede la cosiddetta clausola di salvaguardia dell’interesse nazionale” che però viene decisa di volta in volta, viene interpretata in senso discrezionale da chi in quel momento ritiene che sia di interesse nazionale un’interpretazione piuttosto che un’altra, una certa opinione piuttosto che un’altra: l’evento finale è francamente disarmante perché, qualora il governo ritenga che una legge di una certa materia regolata dalla Regione contrasti con l’interesse nazionale, demanda la risoluzione della vicenda al Parlamento in seduta comune (Camera dei Deputati e Senato Federale). Considerato che ci sono venti regioni in Italia, considerata la dissoluzione dei sistemi, considerata l’arbitrarietà e la discrezionalità con cui può essere valutato l’interesse nazionale di un fatto, quante volte dovrebbe riunirsi il Parlamento in seduta comune? La riforma, inoltre, non dice in che modo poi si risolva il conflitto perché, se c’è conflitto tra le Camere in seduta comune, addirittura si prevede una sorta di terza Camera a parte, perché i Presidenti possono demandare la vicenda ad una commissione di 30 soggetti scelti tra deputati e senatori: un guazzabuglio spaventoso che rischia di far franare la funzionalità e l’efficienza.

          Questa confusione di attribuzione e di linguaggio ha fatto sì che il vecchio Presidente della Corte Costituzionale, Valerio Olida, in un suo bello scritto sul Sole 24 ore di qualche mese fa, abbia detto che questo progetto di riforma ricorda nel suo linguaggio quello impervio delle nostre dichiarazioni dei redditi, che il normale cittadino rinuncia a capire, affidandosi ad un commercialista.

          Io ho cercato, meglio che ho potuto, di spiegarvi quali sono i cambiamenti proposti e quali potrebbero essere le conseguenze, ma devo aggiungere che è assolutamente necessaria un’attività di informazione e di mobilitazione poiché siamo vicini alla scadenza referendaria (18 febbraio): l’attuale Costituzione prevede un meccanismo di riforma che è quello dell’art. 138 che recita “se la legge di revisione della Costituzione è approvata dai due rami del Parlamento in due votazioni successive a maggioranza di due terzi, entra in vigore subito; se viceversa è approvata solo a maggioranza assoluta (come in questo caso), è soggetta a referendum popolare se questo viene richiesto”. Questo referendum è un referendum che i costituzionalisti definiscono confermativo ovvero oppositivo, a seconda che si voti o no; non è abrogativo che ha lo scopo di cancellare una legge, per cui chi vota sì non vuole quella legge, e chi vota no invece la vuole mantenere. In questo caso è il contrario: chi vota sì vuole mantenere la riforma, chi vota no non vuole mantenerla: è un referendum che non richiede il quorum, cioè quale che sia il numero dei votanti vince la scelta fatta dal 50% + 1. Ad esempio se andiamo a votare solo io, il dott. Caselli e il Sindaco Cavallero e due dei tre votano no, vince il No.

          Chi può indire il referendum? Almeno 5 Consigli regionali oppure almeno 1/5 dei componenti di ciascuna Camera oppure almeno 500.000 elettori che richiedano il referendum. Le strade sono state praticate tutte e tre: a oggi già 8 Regioni  e 1/5 dei componenti delle Camere l’hanno richiesto e in tutta Italia si stanno raccogliendo le firme dei cittadini che lo richiedono. Perché firmare? Io cercherò di darvi la spiegazione per cui ho aderito al Comitato per la difesa della Costituzione, che è un Comitato aperto, in cui non ci sono gerarchie e di cui tutti possono far parte: solo attraverso una capillare attività di informazione e di mobilitazione è possibile rimuovere da un lato l’indifferenza e dall’altro rimediare all’ignoranza, intesa come non conoscenza dei termini del problema, e quindi affrontare questa battaglia elettorale con consapevolezza per raggiungere un fine, che non è quello di restaurare una cosa vecchia o un armamentario traballante ma è un tentativo, consentitemi un po’ di speranza,da questo punto di vista, di recuperare quello spirito costituzionale di cui parlavo prima, cioè di trovare un percorso comune in vista del mantenimento, salvo correzioni che ci possono pur essere evidentemente (ma non devastazioni) dell’edificio in cui poter convivere, nel senso di individuare in esso quelle che Norberto Bobbio chiamava “le regole del gioco”, che valgono per tutti indipendentemente dal fatto di essere di destra, di centro o di sinistra o di nessuno schieramento. Io non sono iscritto a nessun partito, quindi credo di essere la prova evidente di quello che sto dicendo.

          Penso che questo debba essere l’obiettivo che riguarda noi, i nostri figli, riguarda il futuro del nostro Paese, è un obiettivo patriottico, è un obiettivo per cui vale la pena di fare qualcosa; se uno dice “non faccio niente”, a furia di non far niente ci vedremo precipitare tutto addosso.

          Voglio aggiungere, per quanto riguarda il meccanismo delle modifiche all’attuale Costituzione, che nel programma dell’Unione per le prossime elezioni politiche c’è il progetto di introdurre una modifica all’art. 138, che renda possibile il cambiamento della Costituzione solo con una maggioranza dei 2/3, obiettivo assolutamente condivisibile, tanto più che è paradossale che per concedere amnistie di indulto sia necessaria la maggioranza dei 2/3 mentre per modificare la Costituzione basti la maggioranza assoluta. Vi rendete conto che c’è qualcosa che non funziona, ma non è che non funzionasse nelle menti dei costituenti del 1947, che erano persone meravigliose, persone come Lelio Basso, Piero Calamandrei, Giuseppe Rossetti, Luigi Einaudi, Giorgio La Pira, Emilio Russo, Concetto Marchisio, Umberto Terracini, Palmiro Togliatti: si andava veramente dalla destra liberale con Luigi Einaudi, al centro, a sinistra, anche all’estrema sinistra con Umberto Terracini.

          Viceversa ora abbiamo  gli uomini della baita di Lorenzago che è  difficile mettere a confronto con personaggi di tale statura.

          Voglio concludere, dato che quest’anno ricorre il decimo anniversario della morte di Giuseppe Rossetti, leggendo una sua riflessione del ’95 che mi sembra riproduca lo spirito che deve avere una Costituzione: “soltanto un sano, forte, diffuso patriottismo della Costituzione può essere una luce orientatrice e una forza aggregante capace, concorrendo ad altri fattori, di vivificare una nuova intesa tra tutte le componenti tradizionali del nostro popolo e di stimolare e presiedere ad una ripresa collettiva che non ci faccia perdere, per sempre forse, l’ora della storia”. Credo che questo sia un ammonimento molto importante e devo aggiungere che oggi in tutta Italia è stata indetta una giornata nazionale della Costituzione per la raccolta delle firme; la speranza è di raccoglierne molte, ben oltre il numero di 500.000, proprio perché deve essere l’occasione di una mobilitazione, di una informazione, di una autoformazione dal punto di vista della ripresa di questo spirito costituzionale.

          A Torino, in Piazza San Carlo sono stati allestiti dei banchetti per la raccolta e ci saranno altre occasioni nel prossimo futuro perché il termine ultimo per raccogliere le firme è il 18 febbraio, quindi molto vicino. La data probabile per il referendum sarà una data compresa tra metà maggio e metà giugno, quindi dopo le elezioni politiche del 9/10 aprile.

          Io ritengo che sarà un momento molto significativo ed anche decisivo per quelle che sono le prospettive della nostra democrazia.

          Vi ringrazio e vi prego di parlarne, di fare un tam tam,perché poi bisognerà andare a votare, bisogna votare e far votare. Grazie.

 

 

Interviene Pietro Fissore: ringraziamo l’avv. Caputo; ci sono ancora delle comunicazioni relative alla raccolta firme qui e oggi, una per i Sindaci e l’altra per il pubblico. Giorni fa abbiamo partecipato ad un incontro presso la CGIL Piemonte a Torino, dove abbiamo ritirato le schede per la raccolta firme, autenticate dal Tribunale di Torino e invito i Sindaci presenti a ritirare il materiale già preparato. Adesso lascio la parola al pubblico per alcuni interventi che auspico molto concisi e brevi.

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Passo la parola al Sindaco che chiuderà questa bella manifestazione.

 

 

Interviene il Sindaco Stefano Cavallero: ringrazio veramente tutti voi, perché un locale pieno di gente come oggi si vede raramente. Ringrazio anche tutti coloro che di solito lavorano dietro le quinte, per esempio Claudio, l’organizzatore dell’impianto e tante altre persone volontarie che lavorano sempre nell’ombra, senza nulla chiedere in cambio. Un ringraziamento ai volontari della Protezione Civile, ai Carabinieri e un grazie particolare a tutti i Sindaci e amministratori presenti: Caselette, Nepote di La Cassa, Gagliardi di Pianezza, Vietti di Druento, Pinzi di Alpignano, il vicesindaco di Grugliasco, Altilia di Rivoletto, Borrelli di Valdellatorre e il vicesindaco Boeti di Rivoli. La loro presenza qui, visti i molteplici impegni rappresentativi e amministrativi, non è stata facile ed è, per questo, più apprezzata.

          La compattezza delle presenze dà l’idea di una roccia…qui si tratta sempre di lavorare tutti insieme, avendo un comune filo conduttore per trasmettere a tutti i cittadini la sensazione di andare tutti nella medesima direzione, che è quella della democrazia.

          Concludo ringraziando ancora il dott. Caselli e l’avv. Caputo.

 (a cura di La Monica Maria Grazia)